
IN CAMERINO CON LICIA LANERA
Intervista all’attrice, regista e imprenditrice barese Licia Lanera.
Se il teatro fosse popolare come la televisione, lei sarebbe l’attrice simbolo di Bari. L’unico problema è che definirla attrice è molto, molto riduttivo. Licia Lanera scopre l’arte scenica durante gli anni sui banchi del Fermi, e continua a studiare teatro all’università di Bari dove si è laureata in Lettere Moderne. Nel 2006 fonda la compagnia che oggi porta il suo nome, e che rappresenta non solo l’officina di una proposta artistica continuamente nuova, ma è anche una delle aziende culturali più solide d’Italia. Otto anni dopo accende su di sé, definitivamente, i riflettori del panorama teatrale italiano con la vittoria dei principali premi di questo settore, tra cui sicuramente il più importante è l’Ubu come miglior nuova attrice under 35. Un riconoscimento che non resta isolato e si affianca ai due Ubu vinti nel 2022 per la miglior regia e messa in scena di un testo straniero.
Licia Lanera è arte e azienda, idee e concretezza. Gli spettacoli prodotti ricalcano la cifra della provocazione, che è tale solo negli occhi di guarda ma che per lei è un modo innocente di conoscere la vita. Abbiamo chiacchierato nel suo camerino ripercorrendo la sua carriera ormai ventennale, e facendo insieme qualche considerazione sul sistema teatrale barese.
Cosa ricordi del periodo di formazione a Bari?
Tra le varie scuole private frequentate, la più determinante per me è stato il Centro Universitario Teatrale dove ho avuto la fortuna di poter fare un’esperienza spartiacque nella scelta di diventare una professionista del teatro. È un vero peccato che questa realtà non ci sia più. Dall’università mi porto dietro l’interesse per la lingua, il dialetto, il suono che diventa significato, ho anche fatto una tesi su Gadda.
Successivamente hai frequentato tantissimi laboratori teatrali, fino a co-fondare la compagnia Fibre Parallele oggi Compagnia Licia Lanera. Qual è stata da attrice l’esigenza di fondare una tua compagnia?
In realtà è stata la naturale evoluzione di quella che oggi posso riconoscere come una passione per la regia, che si è manifestata sin da piccola quando costringevo altre persone a mettere in scena le mie idee.

Il 2014 è stato l’anno in cui la tua performance come attrice ha convinto più di una giuria nei concorsi teatrali italiani. Otto anni dopo torni a vincere però come regista e drammaturga. Cosa significa per te ottenere il riconoscimento dell’Ubu in queste diverse categorie?
La mia presenza scenica è da sempre quella che più affascina e coinvolge il pubblico, il primo premio è stata una conferma di questo. Un momento determinante nella mia carriera, che però mi sono lasciata subito alle spalle per affrontare nuove sfide, io sono così. Vincere grazie all’adattamento teatrale di “Con la carabina” è il riconoscimento all’essenza vera della mia arte ma anche alle mie doti di capocomica, in cui dirigo dal punto di vista artistico, ma anche la produzione, la contabilità, gli stipendi e tutti gli aspetti economici. In questo ho ovviamente delle preziose collaboratrici.
Soprattutto questo riconoscimento slega il tuo genio artistico dal ruolo di genere: se nel 2014 hai vinto nella categoria femminile, nel 2022 hai superato anche i colleghi uomini. Nel teatro c’è una maggiore propensione nell’accettare una donna al posto di comando?
La donna viene vista soprattutto come attrice, sfumando spesso nel mito della musa, dell’essere che ispira l’arte del regista o del drammaturgo, e ne è investita come entità quasi eterea. Tutt’oggi nella produzione di uno spettacolo mi ritrovo ancora a dover mettere in chiaro non solo il ruolo apicale della mia figura, ma anche che non sono l’amica, l’amante o la parente di qualcuno.

Tutti gli spettacoli che hai prodotto parlano di attualità in senso civico, quasi politico. Cosa ti interessa indagare?
La morte. Affronto ogni rappresentazione come esperienza per esorcizzarla, dando tutta me stessa. Punto l’obiettivo e mi schianto, assaporando ogni volta la sensazione dello sfinimento. Quando dico: “oggi la recita non è andata bene” è perché mi sono risparmiata qualcosa sul palco.
E l’amore?
Prima aveva un ruolo importante, anche nella mia vita. Oggi molto meno.
Qual è il ruolo del teatro nel sistema culturale della città di Bari?
Il nostro patrimonio teatrale è ben lontano dall’essere valorizzato, innanzitutto per la mancanza di una direzione artistica per i teatri più importanti penso ad esempio al Piccinni. Anche dal punto di vista dei finanziamenti la logica non regge: non c’è cosa più ingiusta di fare parti pari per soggetti diversi. Non puoi sostenere allo stesso modo compagnie di quartiere e compagnie da 40k annui come la mia.
Stiamo deviando anche dal punto di vista proprio della divulgazione dell’esperienza teatrale e in generale di quello che Bari ha da offrire in termini di talenti, contenitori e storie.
Vedo un’intera comunità andare in estasi perché riconosce angoli della città in una serie televisiva, ma scherziamo? Va bene l’orgoglio, ma attenzione a non cadere in uno stereotipo narrativo che fa solo male alla città.