
LO SCRITTORE CHE RACCONTA BARI CON SGUARDO CHIRURGICO
articolo di Ilenia Caito, promotrice letteraria
Se la letteratura fosse un bisturi, Marcello Introna sarebbe il più abile dei chirurghi. Veterinario barese e scrittore pubblicato da Mondadori, ha saputo intagliare la sua città con la precisione di chi ne conosce a fondo l’anatomia umana e sociale. Le sue storie attraversano le vie e le esistenze meno appariscenti di Bari, restituendone un fedele affresco a tratti crudo, sicuramente vero. Introna tiene insieme mondi diversi senza sottrargli naturalezza, uno scrittore in grado di coniugare il rigore scientifico con il talento narrativo, costruendo romanzi che scavano nella psicologia e nel carattere morale dei personaggi con la stessa attenzione che un chirurgo riserva ai tessuti umani.
La doppia identità di Introna – scrittore e veterinario – non è un’eccezione in letteratura, ma è sicuramente un caso affascinante. Se Donatella Di Pietrantonio alterna l’odontoiatria alla scrittura e Louis-Ferdinand Céline fu medico e romanziere, Marcello Introna porta nella letteratura un approccio al limite del clinico, che si riflette sulla costruzione delle sue narrazioni.
La scrittura e la medicina hanno qualcosa in comune: entrambe richiedono precisione, ascolto e una profonda conoscenza dell’umano. Nei suoi titoli questa fusione è lampante: parla di persone ai margini, di vicende drammatiche e struggenti e lo fa con un realismo che non lascia scampo.
Bari nei romanzi di Marcello Introna
Bari è senza dubbio l’anima pulsante della sua narrativa, ma non la Bari patinata e turistica, bensì quella più profonda, a volte dolente, altre volte epica. Nei suoi libri si respira la città nelle sue contraddizioni, nelle sue bellezze non ostentate e nelle sue ombre più inquietanti. Nel suo romanzo Castigo di Dio (Mondadori, 2018), Bari emerge in un affresco storico dettagliato, ambientato negli anni ’30. Qui, la città è lo sfondo di giochi di potere, corruzione e ambizioni personali che si intrecciano con le vicende dei protagonisti.
Anche in Percoco (Mondadori, 2016), Introna scava nel torbido, raccontando uno dei fatti di cronaca più sconvolgenti della storia barese: il caso di Franco Percoco, il giovane che nel 1956 sterminò la propria famiglia nel cuore di Bari Vecchia. Un romanzo che trasforma un episodio reale in una narrazione magnetica, tra noir e ricostruzione storica, senza mai scadere nel sensazionalismo.
Con Oro forca fiamme (2024), Introna si spinge più indietro nel tempo, immergendoci nella Bari del 1667, devastata da un’epidemia. In una città in cui la malattia si insinua tra le strade, la popolazione si divide tra chi cerca conforto nella fede e chi, come il medico Giuseppe Verzillo, tenta di spiegare il contagio con la ragione. Il priore della basilica di San Nicola, padre Ermanno, vede nella peste un castigo divino, mentre due donne, Sveva e Lucrezia, lottano per la propria sopravvivenza. Bari, qui, è una città oscura, tesa tra superstizione e progresso, un microcosmo in cui si riflettono le paure e le dinamiche sociali dell’epoca.
Il tratto distintivo di Introna è la capacità di osservazione: ogni dettaglio nei suoi libri è studiato, ogni dialogo ha un peso specifico. La sua scrittura ha il ritmo serrato di un’indagine, la lucida freddezza di un referto medico e il calore del racconto popolare.
Introna porta avanti una scrittura che non si limita a narrare, ma analizza, interroga e costringe il lettore e la lettrice a guardare la realtà.Leggere Introna significa compiere un atto di esplorazione, un modo per dare voce a ciò che spesso resta ai margini. E attraverso le sue storie, Bari diventa più di una città: diventa un viaggio dentro le pieghe della società. Marcello Introna è un autore che incarna alla perfezione lo spirito della curiosità. Il suo percorso, diviso tra medicina veterinaria e scrittura, dimostra come le passioni non si escludano a vicenda, ma possano convivere e nutrirsi a vicenda.

Qual è stata la scintilla che ti ha fatto capire che la scrittura sarebbe stata la tua strada?
Non c’è mai stata una scintilla vera e propria, né precise prese di coscienza. Quando alle elementari mi chiedevano ritualmente cosa avrei voluto fare da grande rispondevo “il veterinario”, cosa che poi in effetti sono diventato. Scrivo da sempre, solo quando mi va, vivendo la scrittura come una delle pochissime forme di libertà reale che mi appartengano. Per quanto siano cambiate le dinamiche, le prospettive, le responsabilità e le stagioni questa cosa è rimasta immutata: ritengo la scrittura una delle mie pochissime forme di libertà reale.
Come coltivi la tua curiosità nel quotidiano e come influisce sul tuo lavoro?
Vorrei dire cose che non suonino come scontate, però è vero che talvolta l’irrealtà della realtà supera la più florida immaginazione. Approfondisco ciò che suggestiona me in primis, ricamando di fantasia tutto quello che ritengo necessario ai fini della narrazione; vivere il quotidiano, in maggior misura da spettatore, mi offre possibilità infinite.
C’è un momento della giornata in cui ti accorgi di essere più permeabile all’ispirazione? O un posto o un momento dell’anno?
Si, ma alla fine sono solo suggestioni personali verso le quali mostro devozione e una totale, piacevole subalternità. Per me l’ideale è scrivere dopo il caffellatte, in una stanza precisa della mia casa, con la serranda della finestra mezza abbassata, la luce gialla del lume che diluisce quella del mattino, e i miei due gatti che dormono sul divano letto lì accanto. In merito alle revisioni scelgo la sera, invece.
C’è stato un libro, un film, un incontro o un evento che ha cambiato il tuo modo di vedere il mondo?
Ho avuto degli incontri indimenticabili, ma non perché abbiano avuto influenza sulla mia maniera di vedere il mondo e ciò che rappresenta. La mia concezione del mondo, appunto, è totalmente personale, o, quantomeno, non consapevolmente suggestionata.
Come riesci a mantenere vivo il senso di meraviglia e di scoperta nel tuo lavoro?
Per mantenerlo vivo non faccio nulla, lo è. Sono curioso, lo sono sempre stato, e ho la mania dell’autosufficienza. È una sorta di perenne maratona alla sopravvivenza, soprattutto mentale.
Se potessi consigliare una sola esperienza per risvegliare l’immaginazione, quale sarebbe e perché?
Una risposta di carattere generale non riuscirei a darla, essendo la soglia di sensibilità e gradimento personale troppo cangiante. Potrei esprimermi solo in merito a quello che funziona, o ha funzionato con me, con quello che ha ispirato, o magari sconvolto me. La domanda si riferisce ad altro, ad altri… e io non saprei come rispondere.